Vi sono molti personaggi che mi piacerebbe ospitare qui, ma, per accennare ad episodi o caratteristiche particolari, mi occorre il consenso dei familiari. 

Io trovo magnifico, ad esempio, che una mia lontana parente fosse “in odor di stregoneria”  perché prendeva i tizzoni dal focolare a mani nude, ma questo potrebbe non essere gradito ai suoi attuali discendenti…Sappiate però che la sua casa, in paese, è ancora disabitata. 

Alcuni ricordi sono citati in corsivo e tra virgolette, ed appartengono a mia madre. 

Personaggi del paese

– A’ sì Pidon ‘d Miclen = già vecchio, stava seduto sullo scalino davanti a casa e, guardando il cielo nuvoloso, diceva “Dio ca pioéuva dal dunn nüd” . ( Dio che piovano donne nude, cioè:  Vorrei che piovessero donne nude) A Parma ho sentito spesso la gente augurarsi una pioggia di biglietti da diecimila lire. Ma Pidòn apparteneva a un’altra scuola di pensiero. 

–  A sì Vital  – Un Bandàtt, guardia comunale, di grande stazza, cacciatore di tassi. Aveva, per questa caccia particolare, dei cani da tana, cioè dei bassotti. Aveva anche, in dotazione dal comune per il suo lavoro, una bicicletta. Dio solo sa che cosa ne facesse: la strada per Corniglio non era asfaltata, quella  di Agna era poco più di una mulattiera, come per molti paesi, le pendenze erano quelle che sono e lui era più di cento chili.   In ogni caso le biciclette erano in uso.  

Tugnèlla = Abitava sulla provinciale. Ca’ ‘d Tugnèlla era un riferimento stradale conosciuto da tutti, una tappa importante per andare a Corniglio, la fermata della corriera.  Tugnèlla girava con un asino carico di frutta e verdura per i paesi della montagna.  Aveva il fisico tipico dei vecchi di queste zone: altezza media, magro e diritto, con i baffi bianchi e, sempre, sempre il cappello.

– Carlon , era un falegname. Abitava “sotto la volta”  che univa le due sponde di quel vicolo breve, tra l’osteria di Vigion ‘d Carlàtt e l’aia della Tilèn. Il vicolo c’è ancora, la volta non c’è più. Carlon si era costruito, in quella stanzona scura che gli faceva da casa e da bottega, una cassa da morto. Poi l’aveva portata di sopra e messa in piedi contro il muro.  Diceva che, così, quando fosse morto, i suoi parenti non avrebbero dovuto tribolare e spendere per fargli il funerale.   Era costui un Bandàtt,  un uomo  di grande corporatura e forza,  che portava al mulino sulle spalle grossi sacchi di farina e guadava  senza problemi  la Parma sui trampoli, i scavartej.   Uno che, secondo il racconto di mio padre ( ero piccolissima e la faccenda mi divertiva molto)  attraversò la Parma in piena, tenendo i vestiti sulla testa, per non bagnarli. A metà del fiume la corrente lo travolse. Si salvò , ma perse i vestiti e gli toccò presentarsi , grande e nudo com’era, alle prime case della  Migliarina,  per non morire di freddo.

Personaggi non fissi, con presenze periodiche o saltuarie.

I parroci = Don Zvan ( leggendario), don Zatti, Don Magnini, Don Renato Medici, ecc… 

Le maestre, si chiamavano con l’articolo davanti al cognome:  la Perotti, la Dazzi, la Falugi…    Si dice, in dialetto “la maìstra, al maìstar”, termine molto diverso da quello di tutti i dialetti intorno, ( che dicono méstar, méstra);  ma, anche qui, è un latino quasi perfetto (“magìster, magistra”).     

Era considerato un onore far tenere a battesimo un figlio dalla maestra. Il padrino di battesimo era una figura presente nella costellazione  familiare e quindi, a pensarci bene, era anche un modo perché il nome di una maestra restasse legato per tutta la vita agli abitanti del paese.  Quasi tutte le maestre erano ragazze giovani e finiva che si trovavano un moroso in paese.  L’Ida Boschi (ad Agna all’inizio degli anni ‘30)  si innamorò di un contadino di Rividulano, Giuseppe Priori,  lo aiutò a studiare e lo sposò. Lui pubblicò anche delle poesie. Hanno vissuto a Parma, vicino a Ponte Dattaro, fino a tarda età.                                            

La Falugi è la bella signora seduta al centro della foto di apertura. Moglie, all’epoca,  del giovanotto in camicia bianca e bretelle ( Minghen ‘d Tugnatt) .   

La Stèlla ‘d San Matè =    [C]A San Matè ci son sempre state delle famiglie, forse erano mezzadri, tenevano molte bestie, in una stalla molto grande accanto all’oratorio di San Matteo. Un periodo ci fu una donna che si chiamava Stella.   La Stella  ‘d San Matè era piccola, magrolina, coi pomelli rossi sulle guance, veniva giù a cavallo, da sola, attraversava il paese  e andava a fare spesa alle Ghiare o a Corniglio. Dopo di loro a San Matè c’era andato Iàcam ( Giacomo)  con la moglie Onesta.  Un inverno lui era ad Agna, a far la spesa, quando iniziò a nevicare; quelli di Agna  lo sconsigliarono di mettersi in strada,  ma lui volle andare a casa lo stesso. Quando arrivò sulla costa di San Matteo lo sorprese una tormenta di neve e vento.  Gli venne una broncopolmonite, e allora non c’era  la penicillina. 

Lui morì e allora  la moglie con i figli tornò a casa, a Agna. “

I Carbunén =  Batìst era un  bresciano, che passò molti anni sul Caio, con la moglie, la Santina.  [C]“Ha cominciato sopra Carzago, in t’al Canalon, e ha tagliato  fin in alto, nei prati di Musiara, dietro il Monte Caio. Aveva fatto una “rapassoeula”, una capanna di frasche, coperta con zolle di terra erbosa. La spostava secondo il periodo, secondo la zona dove lavorava.  Tutti i giorni la polenta, tutte le sere la minestra. Avevano anche le capre e facevano anche il formaggio. Quando è arrivato aveva due figli ( Agostino e Mario) . Alla fine della guerra ne aveva undici, e dieci erano maschi . Lì venivano i mulattieri ( o dal Giar o dal Pont ad la Bràdga), per conto di un impresario. a prendere la legna e il carbone. Lui comprava il bosco completo, e vendeva la legna e il carbone. Un anno aveva tagliato tutto il fianco del Grop e aveva  buttato giù tutta la legna, in Bartacca, vicino al ponte della Maestà,  in modo che i muli potessero andare a caricare. Ma il fianco del monte, così pelato, non teneva più la neve. E così è venuta giù una valanga e gliel’ha sepolta tutta, quella legna :  fino a maggio la neve non si è sciolta e non ha potuto vendere. 

Finita la guerra ha preso una casa in paese, e i figli hanno cominciato a sposarsi…  ”

Ambulanti : venivano in primavera o in autunno. 

[C]L’arrotino cantava:  “Cos’avete da fare molar, un coltello, ‘na forbicetta, donne donne l’è chi il moletta” 

lo scrannaio =   [C] “Tagliavano una pianta di ciliegio, si stagionava sette o otto mesi, poi veniva lo scrannaio, stava lì anche una settimana. In un cortile del paese e tutti portavano il lavoro. Tutti questi personaggi dormivano sotto a un portico o in un fienile. Da mangiare ce ne davamo noi. Se si portavano dietro la famiglia magari gli faceva da mangiare la moglie. “

Lo stagnino: ( al magnan)    [C]” “Bisognava stagnare le pentole di rame, così non c’era timore di niente, perché l’alluminio è venuto dopo.  Faceva il giro del paese gridando a gh’è al magnàn …Anche lui veniva con la famiglia. “

 ( nota: Il timore cui si fa riferimento era l’avvelenamento da ossido di rame che si verificava relativamente spesso, se i cibi erano conservati a contatto di recipienti di rame non stagnato)

Altri 

i mülatēr  ( e i muli, coi loro nomi… Moro, Farinella, Romanello…)

A’ dutùr . Il medico condotto, che stava a Corniglio, ma teneva il cavallo a Villula,  lo si chiamava suonando il corno: il suo incaricato  di Villula sentiva il suono, sellava il cavallo, glielo portava davanti a casa, a Corniglio e gli diceva di dove aveva sentito provenire la chiamata. Quando il medico arrivava in paese, non aveva che da chiedere: tutti sapevano dove fosse atteso.  Da notare che, all’epoca gli abitanti del paese erano qualche centinaio . Prima della guerra erano 380.

La levatrice = stava a Corniglio e, quindi, dalla chiamata all’arrivo potevano passare ore, ammesso che fosse in casa e non avesse già altre chiamate urgenti in altri paesi. In paese c’erano, per fortuna,  diverse donne che sapevano assistere i parti, a volte in maniera eccellente. Tanto che una delle levatrici, negli anni ’40,  “fece contro”, cioè presentò un esposto contro la Rusen’na ‘ad Càbar che assisteva alcune delle partorienti di Agna e dei paesi attorno. Questa Rosina era capace di risolvere anche i parti podalici, cioè di “girare” nel grembo materno i bambini che non riuscivano a nascere perché messi in posizioni anomale. A volte faceva partorire la donna in posizione seduta, ma  usando la più anatomica e intelligente delle sedie:  le ginocchia del marito, che partecipava così al parto in maniera molto coinvolgente. Immaginate il marito seduto su una panca robusta o su un letto, la moglie seduta sulle sue gambe, con la schiena appoggiata al suo petto, le braccia e le mani strette a quelle di lui, la levatrice inginocchiata per terra a ricevere il bambino. 

Il farmacista  non aveva un negozio di specialità farmaceutiche, come oggi. Aveva una bottega piena di vasi e bottiglie, con i vari principi medicinali.  Usava il bilancino, il mortaio, il contagocce e scriveva a penna sulle etichette il contenuto, la dose giornaliera, la malattia.  A quell’epoca il medico faceva la ricetta  delle medicine così  come si fa una ricetta di cucina.  Scriveva, letteralmente, le istruzioni per il farmacista : prendi tanti grammi di questo, tanti grammi di quello, impasta con grasso o acqua distillata, fai unguento o pastiglie o polverine.  Il farmacista  preparava le cartine o i flaconi, secondo la ricetta del medico, vendeva le ostie per avvolgere le polverine e inghiottirle,  ma aveva anche altri compiti, meno impegnativi, ma molto importanti. Ad esempio faceva le dosi per le torte ( bastava dirgli “di quante uova” era la torta  e lui ti dava la giusta quantità di lievito, la “dosa”, mescolando cremor tartaro e bicarbonato di sodio. Alcuni dolci richiedevano un ingrediente segreto: si diceva che fosse l’ammoniaca per dolci, ma chi lo usava non lo diceva.  Se la torta veniva male, e soprattutto se non cresceva, si poteva sempre dare un po’ di colpa al farmacista.

A’ veterenàri = anche lui era chiamato solo nei casi disperati, quando i saggi e i pratici del paese non sapevano più che cosa fare.   Finché ci fu Pidèn ad Tugnàtt ( morto nel 1961)  era lui ad  effettuare interventi come la foratura delle vacche “gonfie” col “triquart”, l’assistenza ai parti più complicati, persino la fetotomia, un intervento difficile e scabrosissimo anche per uno specialista, che consisteva  nel sezionare, dentro l’utero, un vitello troppo grosso per uscire naturalmente. Adesso si fa semplicemente il taglio cesareo, in stalla. Allora, per salvare la vacca, si poteva solo fare così. Ed erano ore drammatiche, di fatica fisica, ansia, in cui venivano chiamati in aiuto tutti i santi e le madonne, volenti o meno.   

La guardia comunale di Corniglio, si chiamava Cavasén e i ragazzini avevano inventato una filastrocca per lui : “cürt ad gamba e long da s’cen’na, s’al te ciapa al te rüen’na”.

 Il Fotografo si chiamava Grilén. 

I suonatori che arrivavano per le feste da ballo ( di solito fisarmonica e violino).  Nella foto di apertura del sito  il ragazzo seduto nella seggiola. a destra, con l’aria scanzonata e le gambe accavallate, è Gino dal Pont, il fisarmonicista della festa. 

I venditori ambulanti ( di olio, di stoffa, ma anche di…madonne)

[C]  “Cul da l’oli, vendeva olio, sapone, salsa in scatola.”

 “C’era uno che veniva da Carobbio, a piedi, si chiamava Augusto, portava delle pezze di tela piegate dentro a una sacca di tela, in spalla. Vendeva abbastanza bene. Stoffa per fare vestiti e biancheria per la casa. “[C]  

Al madunàr = “L’Urbzén da Palanzàn, era magrolino, piccolo. Aveva una immagine di una madonna come una scatola di legno, con il cavalletto, tutto sulle spalle. Quando si fermava a far vedere la Madonna, appoggiava il cavalletto, apriva la porticina con la sua chiave, c’era dentro una madonna piena di spille, di medaglie, di santini. Intanto spiegava la vita di questa madonna e vendeva dei crocefissi, delle catenine, degli anellini, e così faceva  i paesi…” [C]  

 “Tugnella ha cominciato a venire nei paesi con l’asino quando nelle fiere hanno cominciato a vendere scarpe a buon prezzo. Lui era un calzolaio e allora si è trovato a mal partito, perché le scarpe alla fiera costavano meno delle sue, così si mise a fare il fruttivendolo e l’ovaiolo e tirava su anche le pelli dei conigli. “[C]  

Straccivendolo. “Raccoglieva gli stracci, li pagava a peso, con una stadera. Quelli bianchi  o di lana li pagava di più. Comprava anche le trecce delle donne. “[C]