I CARRI
Il mezzo di trasporto agricolo di base è la treggia ( Trâggia) formata da lunghi due pali uniti a V; la punta è incrociata e tenuta bloccata da un grosso chiodo, che serve per agganciarlo all’anello al centro del giogo, mentre le due estremità posteriori,, strisciano a terra. Circa mezzo metro prima della fine di ogni palo, è fissato, con bulloni di ferro e galletti, un secondo palo, come una prolunga. Sia i primi che i secondi legni sono assottigliati all’estremità, a becco di flauto, e collegati tra loro da traversini.
Sopra questa base possono essere adattati pianali diversi. Può essere una base di tre travetti paralleli tra loro in senso longitudinale, uniti da pioli: l’effetto è quello di due scale a pioli affiancate, appoggiate sulla treggia. Il trave centrale regge due listoni che si alzano in verticale, piatti e con fori distanziati, detti Stantàrre. . Sulla base e attorno a questi listoni si carica la quantità di fieno o di ramaglie da trasportare e si fissa con un lungo legno orizzontale, parallelo al piano di carico (al Parsèl) . Il parsèl si blocca poi con dei pioli, infilati nei fori delle stantarre.
Sulla base della treggia può essere sistemata, ad incastro, una grossa cesta rettangolare di verghe di castagno o di salice; la Bânna, voce di origine gallica.
La sua versatilità, come contenitore a sponde, consentiva vari usi, che andavano dal trasporto del letame, al trasferimento di persone inferme, ma si poteva anche sfilare, capovolgere nel cortile e usare come gabbia per le chiocce.
Variante della benna era il bennone ( al b’non), una sorta di gabbia, fatta di semplici bastoni verticali, distanti un palmo tra loro, per trasportare le frasche e le foglie.
il viòl
La Voce viö, la trovo italianizzata in viola in alcuni documenti del 1622 (Archivio Vescovile, Biblioteca del Seminario, Sarzana): ” di fieno una viola e mezzo”.
La voce viö deriva da via. Vedi il romagnolo viòl (viottolo) o l’antico bolognese viola: quindi al viòl è il carro o la slitta che passa sulla viola.
La brosèlla deriva il suo nome dal lombardo “broz” ( da barocc’ ?) . Era un carro a due ruote di legno, cerchiate di ferro, con un pianale di tavole, basso e molto solido, con i due “alberi” centrali per fissare il carico (le stantarre), ed era adatto per trasportare grano, sacchi di farina, fieno…
Era fornito di un freno a pressione, che agiva sulle ruote, ma andava manovrato da una manovella posteriore, quindi chi guidava le bestie stando davanti aveva bisogno di un aiutante … frenatore. Ma c’era anche chi aveva studiato un sistema di corde che arrivava fin sul timone, per frenare da sé, anche stando davanti ai buoi.
…UN SACCO DI STRADA A PIEDI
In un mondo senza motori, dove la forza motrice più a buon mercato era quella fornita dal proprio corpo, spostarsi a piedi era naturale. Si facevano a piedi chilometri di mulattiere e di strade sterrate per andare a lavorare, a scuola, a messa, a trovare i parenti e gli amici per una festa. Certi campi erano distanti anche un’ora di cammino, ma mezz’ora era del tutto normale. A volte non era neanche il caso di tornare a casa a mangiare: si mangiava sotto un cespuglio, sotto un altro, più appartato, si faceva un pisolino, poi si riprendeva il lavoro. Si andava a piedi a Corniglio, a far spesa o per qualunque altra ragione, e c’erano cinque chilometri. La Tugnen’na ad David andava a Corniglio a prendere i panni da lavare da famiglie benestanti, li legava in un lenzuolo, si metteva il fagotto sulle spalle e lo portava a casa. Dopo aver lavato e stirato, lo riportava a Corniglio nello stesso modo. Da Carzago, per venire a Messa a Agna, si attraversava la Bazalücca. I bambini di Rividulano, dal Pedagh, d’in Carzaga, venivano ad Agna a scuola, tutte le mattine. A morosa si andava a piedi, di sera, al buio, da un paese all’altro. Il tempo che si impiegava negli spostamenti era molto, anche moltissimo nell’arco della giornata o della vita, ma non costava nulla. O meglio, aveva un altro senso, un altro peso.
Gli scarponi erano le calzature più usate, più adatte per tutti, maschi e femmine, grandi e piccoli.
Solo i malati, i feriti, le partorienti, potevano essere trasportati sulla “benna”, imbottita alla bell’e meglio con qualche vecchia coperta. Se arrivava qualche personaggio importante, come un Direttore scolastico per esempio, lo si andava a prendere alla corriera, con una brosella o con un asino, se c’era. “Ancora negli anni cinquanta, scendevamo dalla corriera a Casa Tognella e salivamo a piedi quei tre chilometri fino al paese. Ci fermavamo a bere agli arbi, a mangiare ciliegie, se era stagione, o semplicemente a riposarci, perché la valigia era pesante, intanto si tendeva l’orecchio per sentire se stava arrivando il camioncino del casaro, che ci “prendesse su” (R).